Dopo sei anni di inchieste giornalistiche e giudiziarie, la commissione d’inchiesta Covid — che le opposizioni non solo non volevano, ma hanno osteggiato in tutti i modi — sta facendo emergere dettagli inquietanti sui primi mesi della pandemia. Il Giornale è entrato in possesso, in esclusiva, della timeline depositata da Ranieri Guerra durante la sua audizione presso la commissione d’inchiesta Covid dello scorso luglio. Un documento che, se confermato, dimostrerebbe al di là di ogni ragionevole dubbio non solo che la farraginosa risposta dell’Italia alla pandemia fu condizionata dal mancato aggiornamento del piano pandemico, ma anche dalla profonda consapevolezza politica della vicenda e da un Oms che si sentiva sotto ricatto del governo italiano.
L’11 maggio, alle ore 15:41, Ranieri Guerra condivide il testo del rapporto coordinato da Francesco Zambon con Cristiana Salvi, capo dell’ufficio comunicazione di Copenaghen, che glielo chiede non avendolo mai visto prima. Guerra le chiede una rapida verifica ed eventuali ulteriori suggerimenti migliorativi, che lei compila e trasmette a Zambon alle ore 22:10 dello stesso giorno.
In quella comunicazione, Guerra scrive parole che oggi pesano come macigni: «Ecco. Io ho ricevuto da Soumya e non da Venezia. Ho visto subito la trappola determinata dal richiamo alla scarsa capacità, determinata dal piano pandemico fermo al 2006 ed a un articolo stupidissimo di Curtale (Filippo, ndr) che dice la stessa cosa. Il mio punto con Francesco è l’errore del richiamo, non la forma e la sintassi, anche se lui si è urtato. Sarebbe suicida e in più non so se vogliamo bastonare il governo quando ci finanzia il centro di Venezia. E entriamo pure in negoziazione per il rinnovo. Gli ho detto di aspettare perché voglio leggere tutto a questo punto. Mi sembra anche che non mettermi in cc sia uno sgarro imperdonabile in questa situazione. A te...».
Un passaggio che rivela una doppia preoccupazione: la tutela dell’immagine del governo e la salvaguardia dei fondi per l’Ufficio Oms di Venezia, allora in fase di rinnovo. Sempre l’11 maggio, poche ore più tardi, Guerra invia a Zambon una serie di ipotesi di correzione sulle “inconsistenze” riscontrate, invitandolo a condividere le modifiche con i co-autori. Nella sua comunicazione allega anche le tabelle Istat aggiornate sulla mortalità, che sarebbero state riportate in modo errato nel rapporto, e un articolo sulla filogenesi virale in Lombardia, ritenuto da lui “non citato correttamente”».
Scrive Guerra: «Come promesso, appena ho potuto, rispetto alle 11.00 quando Soumya mi ha fatto avere il documento. Inserisco nel loop anche Cristiana, per una sua lettura “comunicativa”, dato che abbiamo condiviso tutte le ultime anche minacciose situazioni mediatiche per cui il documento potrebbe prestare appigli se non adeguatamente formulato. Reitero il concetto già espresso e mi perdonerai per questo, ma siamo in una fase estremamente delicata, dobbiamo pesare le parole in maniera molto cauta, soprattutto se rimangono scritte e se lo sono su un documento ufficiale Oms. In più, come sai, sto per iniziare col ministro il percorso di riconferma parlamentare (e finanziaria) del centro di Venezia e non vorrei dover subire ritardi o contrattacchi da parte di chi non ci vuole bene. Vedrai inseriti commenti in giallo nelle varie pagine. Allego anche per tua valutazione le ultime relative alle tabelle Istat di mortalità (non mi è chiaro se vi siete riferiti a queste per valutare gli eccessi di mortalità citati nel testo) e allego anche un articolo di Galli et al. circa la filogenesi virale in Lombardia e la sua probabile origine e inizio di circolazione. Un abbraccio e scusami ancora. Come vedi tengo la discussione limitata a noi tre. Se ci sono questioni aggiuntive o chiarimenti da fornire, ti chiederei ugualmente di valutare se mettermi in cc o meno. Appena mi rimandi provvedo alla clearance con Soumya che ho visto poco fa e a cui ho chiesto indulgenza per qualche ora».
Una prudenza che sa di autocensura. Ogni parola pesa, ogni mail diventa un campo minato politico e diplomatico. Poco dopo, Guerra scrive direttamente a Hans Kluge, direttore di Oms Europa, da cui dipendeva l’Ufficio di Venezia.
«Caro Hans, potremmo avere un problema molto serio con il rapporto preparato dall’ufficio di Venezia. L’ho esaminato dopo averlo ricevuto da Soumya alla sede centrale (purtroppo non dai colleghi di Venezia). Ho contattato immediatamente Francesco, sottolineando gli errori presenti nel rapporto e la necessità di riformulare alcune delle affermazioni più pesanti. Penso che Dorit e Cristiana condividano la mia impressione che potrebbe essere rischioso pubblicarlo così com’è. Mi dispiace molto doverti avvertire, ma a mio avviso dovrebbe essere attentamente rivisto e condiviso prima con il ministro Speranza, per evitare reazioni negative da parte del governo, proprio ora che stiamo godendo di piena fiducia. Inoltre, abbiamo discusso del rifinanziamento dell’ufficio di Venezia e della possibile attivazione di un ufficio dell’Oms in Italia. Lasciami dire che, se non seguiamo un approccio prudente, potremmo perdere questa opportunità. Mi troverei anche in una posizione molto difficile e sarei costretto a dichiarare che non ero d’accordo con il rapporto. Mi dispiace moltissimo doverti allertare. Ti prego di verificare e darci la tua decisione sulla questione, che seguiremo».
Un messaggio che suona come un avvertimento: il contenuto del rapporto, se pubblicato senza “filtri”, avrebbe potuto mettere in imbarazzo il governo italiano e compromettere la posizione di Guerra e dell’intero ufficio veneziano.
Le parole di Ranieri Guerra, pronunciate in un contesto di massima tensione istituzionale, non lasciano spazio a interpretazioni benevole. Il «Piano pandemico fermo al 2006», il timore di «bastonare il governo quando ci finanzia il centro di Venezia» e la necessità di «un approccio prudente» per non irritare i vertici politici, disegnano un quadro di compromesso in cui la trasparenza scientifica appare subordinata alla diplomazia del potere.
Dalle comunicazioni interne emerge un Oms timoroso, che calibra ogni parola non per chiarezza ma per convenienza, e un’Italia che — proprio nel momento in cui avrebbe dovuto esigere verità e preparazione — si scopre ostaggio della propria vulnerabilità istituzionale.
In queste righe, più che nelle giustificazioni successive, si materializza l’istantanea di un sistema che preferì proteggere se stesso piuttosto che i cittadini. E se davvero, come scrive Guerra, «sarebbe suicida e in più non so se vogliamo bastonare il governo quando ci finanzia il centro di Venezia», allora la domanda non è più cosa non abbia funzionato durante la pandemia, ma chi abbia scelto scientemente di non farlo funzionare.
È forse per questo che la commissione d’inchiesta Covid fa cosi paura agli schieramenti politici in cui sono inquadrati i principali protagonisti dell’epoca?