È stato 121 volte in Nepal. In volo, sfiorando quota settemila; a piedi, salendo ben oltre gli Ottomila metri, ne ha otto all'attivo: Simone Moro è anche il signore delle invernali in Himalaya, con quattro prime assolute, ma è anche medaglia al valore per i suoi salvataggi estremi in elicottero. Fra poche settimane ripartirà per tentare di nuovo il Manaslu e su questa tragedia mette subito le cose in chiaro. "Le vittime al Punbari sono state colte nel sonno in tenda. Stavano facendo la cosa giusta: attendere al caldo. Anche le altre persone sullo Yulang Ri erano preparate e stavano facendo escursioni al di sotto dei loro limiti. Per fare un paragone con le nostre alpi, è come se stessero salendo la Presolana e non il monte Bianco e siano state colte da un'improvvisa nevicata. Questa volta temo che si debba parlare di imponderabilità".
Ricorda un autunno così?
"Nelle mie statistiche no. L'ondata di maltempo è arrivata improvvisa nel mezzo dell'altissima stagione per il turismo. Parliamo di trekking d'alta quota, non di una scalata ad un Ottomila fra neve e ghiaccio perenne".
Perché un Paese in mezzo ai monti non ha un sistema di previsioni meteo attendibile?
"Io stesso, quando sono lì, mi affido al super meteorologo Karl Gabl, cioè, chiedo ad un austriaco che tempo farà fuori dalla mia tenda. In Nepal non ci sono triangolazioni come in Italia con le varie stazioni dell'aereonautica militare. Da pochi anni c'è qualche sito più attendibile, ma se non hai connessione, come lo guardi il web?".
Anche i soccorsi hanno subito ritardi
"Per usare un eufemismo i soccorsi in Nepal sono molto difficoltosi. Intanto perché non esiste un'autorità centrale che li organizza. Tutto è privato. Un tempo c'erano solo due società, ora sono 40. Per molte valli, poi, serve un'ulteriore autorizzazione che va chiesta all'aviazione civile o al ministero, per questioni di confine col Tibet: così è stato per esempio, per i ragazzi morti sul Punbari. Serve tempo. E serve tempo anche per decollare".
In che senso?
"Non ci sono stazioni di soccorso avanzate. Tutto parte dall'aeroporto di Kathmandu. Ti metti in fila con i voli di linea o meglio segnali alla torre di controllo che hai un'emergenza sanitaria e magari ottieni il via libera, ma sempre in un contesto molto affollato".
Serve tempo ed anche denaro: nei pacchetti trekking con agenzia, l'assicurazione è compresa?
"Non è automatico e sempre meno le compagnie di assicurazione coprono questo tipo di attività, con l'esclusione di pochissime. In passato molti ne hanno abusato. Erano stanchi e chiamavano i soccorsi. Per questo tipo di trekking, in realtà, oggi sono pochi quelli che pensano che potrebbero aver bisogno di essere evacuati in elicottero".
Quindi se c'è una difficoltà che cosa accade?
"Il capo spedizione chiama una delle compagnie. Si valuta l'eventuale assicurazione, serve poi una Guarantee letter dove un terzo assicura il pagamento. Quindi si decolla sperando che non sia sabato: ogni giro a vuoto è una grossa somma persa. Se anche tutto fila liscio, si deve poi trovare il terreno buono per atterrare".
Moro, lei si batte perché sia riaperta un'ambasciata che potrebbe coordinare meglio.
"Se perdi il passaporto lo fanno In India. È uno scandalo: gli italiani sono un grande mercato per il Nepal. Alpinismo viene dalla parola Alpi, abbiamo un centro scientifico come la piramide del Cnr, ma a metà degli anni Novanta abbiamo chiuso per la spending review, in controtendenza con tutti gli altri Paesi che trovano strategico avere una rappresentanza in un Paese che è a metà fra due superpotenze come Cina ed India".