Gentile Direttore Feltri,
sono colpito da questo ragazzo, Sinner. Prima del suo trionfo di domenica scorsa, a Wimbledon, attraversava un periodo difficile. Aveva subito una clamorosa eliminazione nel torneo di Halle, perso nettamente
a Roma e sofferto una finale storica a Parigi. Poi, sorprendendo tutti, ha ribaltato la situazione nell'arco di cinque settimane, culminando con questa ultima vittoria. E pensare che lo avevamo dato ormai per finito Forse siamo stati crudeli. O no?
Paolo Masini
Caro Paolo,
hai colto nel segno: il successo di Jannik Sinner è la dimostrazione più recente e sincera che il vero campione non è soltanto chi vince, ma chi sa rialzarsi. Sinner, 23 anni, ha vissuto un annus horribilis. Non ci sono solo le sconfitte che tu hai menzionato, ma anche due positività per clostebol, un anabolizzante, a causa delle quali è stato sospeso per tre mesi, da febbraio a maggio. Non dimentichiamoci di questa altra parentesi buia. Non era un caso di doping intenzionale, sia chiaro: un prodotto contaminato durante un massaggio. Eppure, nonostante il ritiro, l'onta di un'accusa è difficile da scrollare di dosso. Sinner ha considerato di ritirarsi, sentendosi perso. Ed è proprio in quel momento che ha mostrato la sua tempra al mondo intero. Al suo ritorno, dopo l'ombra della squalifica, è riuscito a difendere il titolo all'Australian Open, è arrivato in finale al Roland Garros e infine ha conquistato Wimbledon, imponendosi su Alcaraz, passando da sconfitte cocenti a un trionfo clamoroso. Il pubblico ha risposto con applausi calorosi, riconoscendone trasparenza e determinazione, ma anche perché è facile stare dalla parte di chi ha successo. Ed ecco il punto: è la cultura del sempre
perfetto, del campione senza macchia, a farci dimenticare che ogni vittoria autentica ha un prezzo, ed è fatto di cadute, rinunce, crisi. Sinner non è stato punito solo per mancanza di performance, è stato attaccato come simbolo di debolezza, vittima di un doping non volontario. Ma ha risposto con i fatti, con una sequenza di successi che parla di carattere e di crescita. La caduta non lo ha spezzato, bensì lo ha reso più grande. Forse allora va rivalutata la sconfitta. Non come vergogna, ma come opportunità. Nessun talento si forgia senza passare per il fuoco della prova. Sinner ci ricorda che il valore di un atleta, e di una persona, non si misura solo in trofei, ma nella capacità di rialzarsi, di imparare, di trasformarsi. Il fallimento fa parte del percorso.
Sì, caro Paolo, Sinner è stato normale, ha sbagliato, ha fallito, ha perso. E mentre rivelava il suo essere umano, questo ragazzo di soli 23 anni rivelava altresì la sua altezza morale, il suo essere vero, autentico, la sua forza. Ed è questa la lezione più importante che possiamo trarre dal suo trionfo. È bene puntualizzare inoltre che Sinner ha vinto Wimbledon con un gomito malandato, in silenzio. Non si è lamentato, non ha cercato alibi, non ha teatralizzato il dolore.
Ha preferito soffrire in disparte, lavorare in silenzio e poi stendere sul prato sacro di Londra il campione in carica come fosse un apprendista. Ecco la differenza tra coloro che vogliono vincere e coloro che sono nati per farlo. I primi chiedono comprensione; i secondi, invece, quelli come Sinner, si prendono la coppa. In un'epoca di lamenti e selfie, l'altoatesino insegna che i grandi non urlano. Stringono i denti e rispondono col talento e con i fatti. Mentre molti suoi coetanei si smarriscono dietro ai followers, Sinner colleziona titoli. Non è semplicemente un campione, è un messaggio ambulante di disciplina, sobrietà e dignità, da cui trarre ispirazione. Una lezione per il Paese, non solo per lo sport. Questo risultato ha quindi un valore eroico: non solo ha battuto il campione in carica Alcaraz, ma lo ha fatto con un infortunio in corso, dopo settimane di dubbi, crisi, pressioni e sconfitte pesanti.
Il ragazzo ha dato un esempio di gestione del dolore e dello stress che lo proietta ormai oltre il tennis italiano, facendolo emergere quale campione globale nel corpo e nella testa.