Parte la crociata contro Booking. Già 10mila gli hotel "Prezzi imposti"

Scritto il 07/08/2025
da Lucia Galli

L'albergo deve garantire al sito tariffe più basse di quelle praticate ai clienti diretti

Booking or not? Questo è il problema. Alzi la mano chi non ha mai usato il colosso web per prenotare un hotel on line, specificando, come ad uno specchio di Biancaneve, i propri desiderata: ordina per prezzo più basso, per vicinanza, colazione inclusa, tariffa rimborsabile, camera vista mare. La comodità si sa, non ha prezzo. O, meglio, nel caso di Booking.com l'ha sempre avuta. Chi lo usa come vetrina, per promuovere la sua attività, rinuncia ad una fetta degli introiti - di solito la commissione sfiora il 20% - a favore di una visibilità globale; chi se ne serve per prenotare un soggiorno si sgrava da molte grane, digitando i soli 16 numeri della carta di credito come garanzia. Basta chiamate dirette, basta lunghi scambi di mail, caparre e anticipi. Dal 1996 una piccola start up di un Paese quasi off shore, come l'Olanda, è cresciuta fino a divenire, in meno di 30 anni, una holding americana quotata in borsa che ha rivoluzionato il nostro modo di organizzare viaggi di lavoro e ferie, arrivando ad includere siti come Priceline, Agoda, Kayak, Cheapflights, Rentalcars, Momondo e OpenTable.

Sbandierando una certezza: su Booking.com la tariffa sarebbe stata anche la migliore. Perché così aveva deciso ed ottenuto il sito di e-commerce, cui oggi aderiscono 28milioni di strutture, illustrate in 43 lingue. Come uno ius primae noctis, l'albergo doveva garantire al sito tariffe più basse di quelle che avrebbe praticato a chi prenotava direttamente. Insofferenti a questo diktat, questa "prelazione" a molti, già da tempo, sembrava eccessiva. Così accadeva che, contattando la struttura, ci si sentisse offrire un deal un poco disinvolto: "Disdica booking e le facciamo lo sconto". La rivoluzione era cominciata anche così. A settembre 2024, però, è arrivata una sentenza della Corte di Giustizia Europea a stabilire che, in effetti, almeno in Europa, quella "rate parity", fosse una pretesa lesiva del diritto di concorrenza. "Maggiore dipendenza dalle piattaforme online, riduzione delle vendite dirette, libertà contrattuale limitata e un costante aumento dei costi di intermediazione", si legge nel documento Ue che ha armato la mano di Hotrec, organizzazione europea che raccoglie strutture alberghiere e di ristorazione.

Affidandosi ad un pool internazionale di avvocati del diritto della concorrenza, processualisti ed economisti, arriva ora la class action con l'obiettivo di risarcire gli albergatori per i danni finanziari causati dall'uso delle cosiddette clausole di parità. Ad aderirvi, ad oggi, sono oltre 10mila strutture, ma, iscrivendosi al sito mybookingclaim.com, c'è tempo fino al 29 agosto per manifestare il proprio malumore e sperare in un risarcimento che potrebbe - calcolano i promotori aggirarsi sul 30% delle commissioni versate a Booking tra il 2004 e il 2024, oltre agli interessi.

A sostenere la protesta in Italia, c'è anche Federalberghi: "Gli albergatori europei soffrono da tempo di condizioni ingiuste e costi eccessivi. È il momento di unirsi e chiedere giustizia", ha spiegato il direttore generale Alessandro Nucara. Booking.com non ci sta e afferma, intanto, di non aver ancora ricevuto nessuna notifica di class action e che la sentenza europea non parla di concorrenza sleale ma solo di accordi fra la parti, chiudendo, quindi, la porta ad eventuali richieste di risarcimento. E non è tutto. La Holding, nonostante un primo trimestre 2025 con ricavi che fanno segnare un +8%, ha deciso un piano di razionalizzazione del personale. Leggi: licenziamenti che potrebbero toccare dalle 200 alle mille unità nel mondo. Sui 150 dipendenti italiani, sarebbero una decina gli esuberi. Pochi giorni fa c'è stato anche un primo, storico, sciopero del sito italiano.