È diviso in tre il premio Nobel dell'economia di quest'anno. Il riconoscimento, assegnato ieri dall'Accademia Svedese delle Scienze, è andato per metà a Joel Mokyr (americano di origine olandese e israeliana della Northwestern University di Chicago) e per l'altra metà a Philippe Aghion (francese con cattedra all'Insead e alla London School of Economics) e Peter Howitt (canadese, insegna alla Brown University del Rhode Island). Il comune denominatore sono gli studi dei tre (che si divideranno il premio di un milione di dollari) sulla crescita, e in particolare le loro ricerche sui meccanismi attraverso cui idee, cultura e istituzioni riescono a sostenere progresso tecnologico e sviluppo economico.
Il più famoso del terzetto è senza dubbio Mokyr che nel suo ultimo libro, «Una cultura della crescita», pubblicato in Italia dal Mulino, ribalta con chiarezza le tradizionali teorie «materialiste» (il neo-Nobel le definisce semplicemente «rozze»), secondo cui sono le strutture economiche a spiegare cambiamenti di idee e principi. Al contrario, secondo Mokyr, l'economia, e in particolare «la crescita economica moderna...è dipesa da una serie di cambiamenti radicali in fatto di credenze, valori e conoscenze». È dunque la cultura («la sovrastruttura», direbbero i marxisti) a definire la cosiddetta «struttura» dei rapporti di produzione. L'esempio più evidente, secondo Mokyr, si può trovare nel periodo della rivoluzione industriale: la scoperta di nuove conoscenze e l'invenzione di nuovi processi tecnologici non ci sarebbero stati e non avrebbero avuto gli stessi effetti senza il contesto di pensiero scientifico sistematizzato durante il periodo dell'Illuminismo. «La credenza fondamentale che la sorte dell'umanità possa essere continuamente migliorata approfondendo la nostra comprensione dei fenomeni e delle leggi di natura e l'applicazione di questa credenza alla produzione hanno costituito la svolta culturale che ha reso possibile quanto poi avvenuto».
È questo a spiegare l'improvviso (per i tempi della storia) sviluppo del mondo occidentale ed è per questo che la condizione essenziale per il progresso tecnico ed economico è la natura «aperta» della società in cui gli operatori si muovono. «I motori del progresso tecnologico e, infine, della performance economica sono l'atteggiamento e l'attitudine». Il primo determina la volontà dei componenti di una società di comprendere il mondo naturale; la seconda determina il loro successo nel trasformare questa conoscenza in più elevati standard di vita. «La cultura ha influenzato la tecnologia sia direttamente, cambiando l'atteggiamento verso il mondo naturale, sia indirettamente creando e perfezionando istituzioni che stimolavano e sostenevano l'accumulazione e la diffusione della conoscenza utile», scrive Mokyr.
La crescita è al centro anche dei lavori degli altri due premiati, Aghion e Howitt, che si sono concentrati sull'analisi del concetto di distruzione creativa del capitalismo, formulato per la prima volta dall'economista austriaco Joseph Schumpeter nella prima metà del secolo scorso. I due studiosi, scrive l'Accademia svedese nelle motivazioni del premio, hanno studiato i meccanismi alla base di una crescita sostenuta nel tempo e «hanno costruito un modello matematico per ciò che viene chiamato distruzione creativa: quando un prodotto nuovo e migliore entra nel mercato, le aziende che vendono i prodotti più vecchi perdono terreno. L'innovazione rappresenta qualcosa di nuovo ed è quindi creativa. Tuttavia, è anche distruttiva, poiché l'azienda la cui tecnologia diventa obsoleta viene superata dalla concorrenza».