La pace in Ucraina che doveva essere raggiunta in "24 ore" e si è poi rivelata "più difficile del previsto" è l'unico successo che ancora manca a Donald Trump per completare un percorso netto di vittorie politiche, legislative e militari che, piaccia o meno, ha pochi precedenti nella recente storia americana. L'intransigenza di Vladimir Putin, le "cazzate" (parole di Trump) che il leader russo continua a proporre nei colloqui con gli inviati di Washington o nelle telefonate dirette col tycoon, mentre in privato ordina i massicci bombardamenti delle città ucraine sono l'ostacolo che si frappone tra la promessa fatta in campagna elettorale e la soluzione del conflitto. Le telefonate, appunto. È in un colloquio del 3 luglio con il presidente russo che Trump si sarebbe convinto della necessità di un cambio di passo. Secondo un retroscena di Axios, sito di notizie tra i più informati e puntuali sulle manovre che avvengono nella West Wing della Casa Bianca, in quell'occasione Putin avrebbe indicato che nei successivi 60 giorni avrebbe intensificato l'offensiva nell'Ucraina orientale per raggiungere i confini amministrativi delle regioni in cui i russi hanno una presenza significativa. Parlando con i giornalisti, Trump non esitava ad ammettere di "non essere contento" della guerra in Ucraina e di "non avere fatto alcun progresso" con Putin. Nota stonata di una giornata nella quale aveva incassato il voto finale del Congresso al suo "Big beautiful bill". Poco dopo, il tycoon era al telefono con Emmanuel Macron. "Putin vuole prendersi tutto", riferiva Trump. È allora che mesi di accondiscendenza verso il Cremlino si sono trasformati in fastidio. Mesi di fastidio verso Volodymyr Zelensky in comprensione per le ragioni di Kiev. Appena a febbraio c'era stato il mortificante scontro nello Studio Ovale. "Non hai carte in mano e stai giocando con la Terza Guerra Mondiale", l'attacco di Trump al leader ucraino. "Non dici mai grazie", quello del vice JD Vance.
Nei giorni successivi alla telefonata del 3 luglio, in una serie di colloqui con gli alleati, Washington iniziava a mettere a punto lo schema per fornire all'Ucraina "attraverso la Nato" e "pagate dagli europei" le armi necessarie a contrastare l'escalation russa. Una triangolazione necessaria a placare i Maga duri e puri, che in nome dell'"America first" poco avevano gradito l'intervento degli Usa al fianco di Israele nella "guerra dei 12 giorni" con l'Iran. L'iniziativa del capo del Pentagono Pete Hegseth, che senza informare la Casa Bianca metteva in pausa l'invio a Kiev delle forniture militari già stanziate da Biden va letta come l'ennesima gaffe del personaggio, subito superata dal contrordine del presidente. Quel che conta è che veniva tolto il freno a mano all'iniziativa legislativa portata avanti dal senatore repubblicano Lindsay Graham, anello di congiunzione tra quello che rimane dell'ala reaganiana del partito e il nuovo Gop targato Trump, per un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca.
Il cambio di rotta è dimostrato anche dal rialzo delle quotazioni del generale Keith Kellogg, il "falco" anti-russo nominato a gennaio inviato speciale per la pace tra Russia e Ucraina, al quale in questi mesi era stato preferito l'inviato tuttofare Steve Witkoff. Ieri Kellogg è giunto a Kiev e ha visto Zelensky, che ha definito l'incontro "produttivo" e ha detto che si è parlato di "rafforzamento della difesa aerea ucraina, produzione congiunta e approvvigionamento di armi di difesa in collaborazione con l'Europa". Una collaborazione che spinge Macron ad alzare i toni della retorica contro Mosca in un rinnovato asse con Washington.