di Ciro Sbailò*
La Cina è entrata nella sua fase entropica. Dopo decenni di crescita centralizzata, la seconda economia mondiale è attraversata da tensioni centrifughe: sovrapproduzione, concorrenza autodistruttiva, deflazione. La stampa ufficiale parla di "involuzione competitiva" e Xi risponde con limiti e controlli.
Non è la scarsità a minacciare l'ordine, ma l'eccesso: un'abbondanza sregolata, localmente incentivata, distribuita in modo caotico. Il ciclo deflattivo dura da oltre due anni. Intanto Pechino adotta una linea diplomatica insolitamente dura: per la prima volta dichiara inaccettabile una sconfitta russa in Ucraina. Una Russia indebolita rilancerebbe la pressione americana in Asia.
Nel luglio 2025 si delineano due direttrici: contenere l'entropia interna e irrigidire la postura internazionale. Un sistema sotto pressione, come una caldaia, scarica all'esterno ciò che non riesce più a trattenere. Nei regimi autoritari, l'adattamento cede al controllo. È una dinamica ben riconoscibile da chi analizza, sotto il profilo costituzionale e geopolitico, l'evoluzione degli autoritarismi: i contesti cambiano, ma il meccanismo si ripete. Negli anni Ottanta, l'Urss mascherò la stagnazione con la proiezione militare. L'Argentina della giunta militare fece lo stesso invadendo le Falkland. Anche la Cina si muove lungo questa traiettoria. Il riarmo crescente e l'attivismo in Africa, dove aumentano le frizioni con governi e popolazioni locali, ne sono segnali evidenti. Quando sollecitato, l'equilibrio si spezza.
Ma la crisi cinese non è un'anomalia: è un punto di rottura di un ordine globale sempre più fragile. L'incapacità dei grandi attori di adattarsi alle trasformazioni demografiche, tecnologiche, strategiche genera instabilità sistemica. Di fronte a questo logoramento, l'Europa e l'Italia non possono restare prigioniere della manutenzione dell'esistente. Serve un cambio di scala: scelte nette, visione strategica, capacità di costruire alternative resilienti. Un esempio è l'IMEC (India-Middle East-Europe Corridor): infrastruttura che collega l'India all'Europa passando per Arabia Saudita, Emirati e Israele. Rafforza il pilastro sud dell'Occidente, valorizza il Mediterraneo, diversifica le filiere e riduce la dipendenza da Pechino.
L'IMEC è anche un segnale politico deciso all'interno dello spazio euro-atlantico. Il 12 luglio 2025, Trump ha annunciato tariffe del 30% su tutte le importazioni dall'Ue. Non è solo economia: è una mossa di potere, un invito implicito a ridefinire i rapporti di forza. In questo quadro, la linea italiana attenta a evitare irrigidimenti ma decisa nel sostenere il "doppio zero" e nel chiedere una risposta concertata tra Commissione e Bce indica una direzione utile: trasformare la crisi in leva negoziale, rafforzando l'autonomia strategica europea, sia industriale che finanziaria. È la dimostrazione che una nuova grammatica politica è possibile. Oggi il mondo non si lascia più leggere con modelli lineari e statici. La globalizzazione e l'accelerazione tecno-scientifica hanno creato un ambiente sempre più fluido, interdipendente, instabile. Le relazioni contano più degli attori, le conseguenze sono non lineari, e gli equilibri emergono dall'interazione.
Per analogia epistemica cioè nel modo stesso in cui si conosce e si struttura la realtà questo assetto ricorda i sistemi quantistici: ciò che accade in un punto influisce altrove; osservare modifica; gli stati emergono solo nella relazione. Anche le decisioni geopolitiche funzionano così: non sono neutre, perché trasformano il sistema che intendono comprendere o governare. Corridoi, alleanze, posture strategiche producono effetti a catena. In questo scenario, l'alternativa al caos non è un ordine rigido, ma la capacità di orientarsi nell'incertezza. Servono geometrie adattive, reti resilienti, forme aperte. Perché oggi, più che schierarsi, conta saper mutare forma senza perdere direzione.
*Ordinario di Diritto comparato UNINT Roma