C’è un posto, in Inghilterra, dove l’automobile è ancora un gesto d’amore. Dove l’accelerazione non è solo una misura fisica, ma un’emozione. Goodwood è questo: il Festival della velocità che non teme il tempo, che lo sfida. Un rito collettivo che si rinnova ogni luglio tra l’erba tagliata del Sussex, con l’odore della benzina che si mescola a quello dei fiori estivi, tra i vialetti ghiaiosi della tenuta del Duca di Richmond. Qui le auto non si espongono. Si vivono.
C’era tutta l’Italia, quest’anno. In gran forma. Con Pagani, che ha portato la sua Utopia Roadster come fosse un’opera di Cellini. Sinuosa, estrema, scolpita nella fibra e nell’emozione. Ha incantato tutti. Vicino, Lamborghini ha acceso i cuori con la Urus SE e con la Revuelto, capace di unire la furia ancestrale del V12 alla tecnologia ibrida in un balletto di fiamme e silenzi. E poi Maserati. Che ha scelto proprio Goodwood per la première mondiale della sua nuova creatura: la MC20 Pura, evoluzione stilistica e tecnica della super sportiva modenese, con motore Nettuno e anima da granturismo veloce. Colore Blu Vittoria, interni ridisegnati, cuore tricolore.
A incorniciare il tutto, la parata Pirelli per i 40 anni del P Zero: una collezione da 10.000 cavalli, guidata dalla Ferrari F40, dalla Lancia Delta S4 Stradale e dalla stessa Utopia. Una sinfonia meccanica che ha fatto vibrare le colline.
E poi Mercedes, che ha risvegliato l’anima dei suoi anni più sperimentali con la leggendaria C 111: quel prototipo affilato, arancione, con le porte ad ali di gabbiano, che sembrava uscito da un film di fantascienza anni ’80 e che oggi torna come musa stilistica per una nuova generazione di sognatori.
Tra le supercar, Eccentrica: il restomod su base Lamborghini Diablo che ha diviso pubblico e appassionati. Un’auto provocatoria, brutalista, scolpita nel carbonio e nell’alluminio, con dettagli sartoriali e muscoli scolpiti. Per qualcuno un sacrilegio, per altri una visione, una evoluzione della perfezione.
Ma la vera differenza, a Goodwood, è che le auto non sono perfette. Sono impolverate, segnate dal vento, sporche di emozione. Sembrano vive, come se respirassero dopo ogni accelerazione. E proprio questa imperfezione le rende reali. Nei musei, per quanto splendidi, c’è sempre qualcuno che le lucida in continuazione, ossessionato da ogni granello. Ma quella pulizia estrema finisce per anestetizzarle. Le auto, in quelle sale, sembrano manichini. A Goodwood, no. Qui si muovono. Sbagliano traiettoria. Si scaldano. Tremano. Profumano di vita.
Goodwood è anche questo: il rombo delle partenze, le frenate tra le balle di fieno, i bambini con le orecchie tappate e gli occhi sgranati. I padri che spiegano, le madri che filmano.
Eppure, tra il canto dei motori e l’arte della velocità, qualcosa stona. Alcuni stand ospitavano veicoli che sembravano più elettrodomestici che automobili. Alcune presenze, pur giustificate dai numeri di mercato, apparivano fuori contesto. Auto nate per muoversi da A a B, progettate da algoritmi e non da sognatori. Forse è solo una questione di tempo. Forse, col tempo, anche da lì nascerà passione. Ma oggi, a Goodwood, la passione si chiama Pagani, si chiama Lamborghini, si chiama Maserati. Si chiama Italia. Perché il Festival of Speed non è una fiera di settore. È un teatro della velocità. E in teatro non basta esserci: bisogna emozionare: sipario!
Goodwood, il canto della velocità tra le colline inglesi
Scritto il 14/07/2025
da Cesare Gasparri Zezza