Ci risiamo. Ogniqualvolta uno Stato membro e in particolare l'Italia osa sollevare il capo per tutelare il proprio interesse nazionale, ecco che dall'Antitrust europeo parte una lettera. Un richiamo, una nota «preoccupata», un invito «alla riflessione». Dietro il linguaggio apparentemente cortese delle diplomazie tecnocratiche, si cela l'ennesimo tentativo di sferzare l'autonomia decisionale di un Paese sovrano. Questa volta il bersaglio è il governo italiano, colpevole di aver esercitato il Golden Power in relazione all'Ops lanciata da Unicredit su Banco Bpm.
Una vicenda che dovrebbe rientrare nell'alveo della legittima autodifesa economica di un Paese, ha invece generato l'ennesima interferenza da parte di Bruxelles. L'Antitrus Ue, con tempismo sospetto e argomentazioni discutibili, ha insinuato che tale ricorso al Golden Power possa rappresentare una violazione dei regolamenti dell'Unione sulle concentrazioni societarie. In altre parole, una minaccia travestita da nota tecnica. Peccato che il diritto comunitario che non è una religione, ma un ordinamento composito preveda espressamente spazi di sovranità economica e nazionale laddove siano in gioco interessi strategici. E qui di interessi strategici ce ne sono a bizzeffe: il risparmio tutelato
dalla Costituzione, la stabilità del sistema bancario, la trasparenza nelle operazioni di acquisizione e non ultima la posizione di Unicredit nei confronti della Russia, ancora oggi opaca e imbarazzante per molti osservatori. Il Tar del Lazio ha messo nero su bianco che questi sono temi di sicurezza nazionale. Punto.
Ciò che colpisce sono la tempistica e il tono della lettera della DG Comp. Proprio ora che è in corso una trattativa delicata tra il ministero dell'Economia e Bruxelles, in cui si cerca un equilibrio tra tutela degli asset nazionali e libertà di mercato, arriva la sciabolata istituzionale. A ben guardare, però, la sensazione è che la lettera non sia figlia di un automatismo giuridico, ma l'effetto di una pressione: quella di potenti ambienti lobbistici che gravitano attorno alla grande finanza continentale e che vedrebbero con favore l'assorbimento di Banco Bpm da parte di un soggetto sintonizzato su certe frequenze.
La reazione di Matteo Salvini, forse poco utile alla causa perché espressa con toni ruvidi, epperò coglie nel segno: l'Europa farebbe meglio a non ingerirsi in dinamiche interne dove la sovranità economica è garantita dalla legge. È chiaro che quando la commissaria Teresa Ribera Rodríguez strizza l'occhio a certi circoli bancari del Nord Europa, dimentica che la coerenza è un valore soprattutto nelle istituzioni.
Per essere più espliciti, un'eventuale osservazione sconsiderata da parte della DG Comp sulla questione Unicredit-Russia, rischia di far saltare non solo la logica comunitaria, ma anche la credibilità morale dell'impalcatura che regge le sanzioni europee contro Putin.
L'Europa, se davvero vuole essere dei popoli e non solo delle banche, deve imparare a rispettare gli spazi decisionali dei governi eletti. Il Golden Power non è un capriccio protezionista, ma un dispositivo di equilibrio. E se l'Italia decide di attivarlo in un contesto che coinvolge i risparmi di milioni di cittadini, la stabilità bancaria e la trasparenza dei capitali ha tutto il diritto, anzi il dovere, di farlo.
Il rischio non è che Roma abbia abusato della regola. Il rischio, ben più grave, è che Bruxelles così facendo delegittimi il principio di sovranità economica in nome di una visione dogmatica e disincarnata del mercato unico. Un mercato che, senza equilibrio tra regole comuni e sensibilità nazionali, diventa solo terreno di conquista per i più forti. Serve meno burocrazia e più rispetto.