da Roma
C'è un filo neanche troppo sottile che secondo Giorgia Meloni unisce le ultime decisioni dei tribunali su migranti e Cpr in Albania alla richiesta di processo per la vicenda Almasri a carico dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Due fronti che secondo la premier hanno lo stesso comune denominatore, riassumibile in una parola: rappresaglia. Insomma, una vera e propria ritorsione della magistratura che è apertamente ostile alla riforma della Giustizia voluta dal governo e approvata in seconda lettura al Senato lo scorso 22 luglio (mancano ancora due letture e l'eventuale referendum).
Meloni ha pochi dubbi in proposito, convinta che i magistrati stiano alzando le barricate non tanto contro la separazione delle carriere (che nei fatti in buona parte già c'è) quanto contro i nuovi criteri di nomina del Csm (che diventeranno due) e l'introduzione dell'Alta corte disciplinare (che toglierà a Palazzo dei Marescialli la competenza sui procedimenti disciplinari a carico dei magistrati). E ne è così persuasa che, pur evitando accuratamente di utilizzare termini evidentemente ostili come "rappresaglia" o "ritorsione", decide di affondare il colpo a favore di telecamere.
Intervistata dal Tg5, infatti, la premier dice di "vedere" un "disegno politico intorno ad alcune decisioni della magistratura, particolarmente quelle che riguardano i temi dell'immigrazione". "Come se in qualche maniera si volesse frenare la nostra opera di contrasto all'immigrazione illegale", aggiunge prima di passare alla vicenda Almasri. Che continua a definire "surreale" perché Nordio, Piantedosi e Mantovano "hanno agito nel rispetto della legge per tutelare la sicurezza degli italiani". E "ancora più surreale", ribadisce Meloni con tono di sfida e per certi versi irridente, è "il fatto che per me si chieda l'archiviazione" visto che "i miei ministri non governano a mia insaputa" e "io non sono né Alice nel Paese delle Meraviglie, né un Conte qualsiasi che faceva finta di non sapere che cosa facesse il suo ministro degli Interni" (il riferimento è alla vicenda Open Arms).
Dopodiché, l'affondo. Che, seppure edulcorato, lascia poco spazio ai fraintendimenti. "Ovviamente - dice Meloni - a me non sfugge che la riforma della Giustizia procede a passi spediti e, diciamo così, ho messo in conto eventuali conseguenze".
Insomma, dopo le accese polemiche che hanno fatto seguito al ricorso in Cassazione della procura di Palermo per l'assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms e dopo i ripetuti botta e risposta tra il Guardasigilli e l'Anm (sulla riforma della Giustizia e sul caso Almasri), il termometro dello scontro tra governo e magistratura sembra destinato ad alzarsi ulteriormente.
Al Tg5 Meloni parla anche di dazi, un fronte ancora caldissimo perché al di là dell'intesa scozzese tra Donald Trump e Ursula von der Leyen su tariffe al 15% il nodo vero da sciogliere è quello delle esenzioni.
"Sui dazi - dice la premier - le trattative tra America e Europa non sono ancora concluse". Perché si sta negoziando sulle esenzioni e su questo fronte "l'Italia farà del suo meglio per tutelare i suoi interessi nazionali", anche perché "molti dei prodotti che sono simbolo dell'export italiano in realtà non sono da sostituire con produzioni interne americane perché sono prodotti unici". Meloni si riferisce ovviamente alla filiera dell'agroalimentare e al vino. Ma anche automotive e farmaceutica sono settori chiave per il nostro export. L'intenzione del governo, comunque, è sostenere i settori che saranno più colpiti dai dazi. E, dice la premier, "negli ultimi giorni lo abbiamo fatto mettendo un altro miliardo di euro su alcune filiere agroalimentari" e "approvando un importante pacchetto di semplificazioni".
Insomma, "il contesto internazionale è sicuramente molto complesso", ma secondo Meloni l'Italia ha "le carte in regola per affrontare questa stagione" anche grazie a "un governo stabile" e a "un sistema produttivo estremamente solido".