"Non me ne sto occupando". Mancano pochi minuti alle 15 quando il ministro degli Esteri Tajani scende dalla prima delle due Land Rover Defender che lo accompagnano davanti all'ingresso della Camera dove è atteso per un question time programmato da tempo. E, scelta per lui inusuale, preferisce non fermarsi davanti al corposo gruppo di telecamere e microfoni che lo attende. Da qualche ora, d'altra parte, tutta l'opposizione sta puntando il dito sull'arresto a Tripoli del generale libico Osama Njeem Almasri, un caso che dallo scorso gennaio è stato oggetto di accese polemiche politiche e ha portato prima all'apertura e poi all'archiviazione di un'indagine davanti al Tribunale dei ministri per la premier Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano.
Nonostante la batteria di critiche che arrivano da tutti i leader di opposizione - dalla dem Schlein al pentastellato Conte, passando per Renzi (Iv), Bonelli e Fratoianni (Avs), Magi e Della Vedova (+Europa) - la maggioranza sceglie l'approccio del basso profilo. E così fa Tajani, che solo al termine del question time e all'ennesima richiesta dei giornalisti che lo inseguono in Transatlantico ("ma non posso neanche parlare un attimo in pace con i miei deputati?") si limita a una risposta piuttosto essenziale: "Non me ne sto occupando".
È il termometro di quanto la questione sia delicata. Non solo per il fuoco di fila del centrosinistra, ma pure per ragioni di realpolitik. Sul tavolo, infatti, c'è anche il rapporto tra l'Italia e una Libia dove stanno velocemente cambiando gli equilibri di potere che negli ultimi anni hanno garantito una relativa calma. Non un dettaglio, considerando che la Libia è di gran lunga il principale Paese di partenza dei flussi migratori illegali via mare diretti in Italia: 52.924 dei 59.905 immigrati sbarcati nel 2025 (dato aggiornato al 4 novembre) sono infatti partiti dalle coste libiche. Anche per questo, dunque, dai vertici del governo tarda ad arrivare una presa di posizione e persino deputati e senatori di maggioranza preferiscono non intervenire sulla vicenda. Su cui dalla Farnesina, seppure molto informalmente, inizia a delinearsi la posizione dell'esecutivo. "Almasri è stato riconsegnato alla Libia e, seppure dopo dieci mesi, ora risponderà delle sue azioni", filtra dal ministero degli Esteri. Ancora più netto un ragionamento che Piantedosi affida in privato ad alcuni suoi interlocutori. Per mesi ci hanno rinfacciato che abbiamo rimpatriato Almasri per garantirgli l'impunità - la riflessione del ministro dell'Interno - e oggi si dimostra che non c'è alcuna impunità, visto che lo stanno per processare con le loro leggi.
Ed è questa la linea di Palazzo Chigi. Il governo, fanno sapere nel tardo pomeriggio, "era a conoscenza del mandato di cattura emesso dalla procura generale di Tripoli già dal 20 gennaio 2025" e "contestualmente" la Farnesina aveva ricevuto "una richiesta di estradizione da parte dell'autorità giudiziaria libica" (ne parlò il direttore dell'Aise Giovanni Caravelli in una riunione organizzata il giorno dopo l'arresto di Almasri a Torino). Ed è per questo, fanno sapere da Chigi, che il governo "ha giustificato alla Corte penale internazionale la mancata consegna di Almasri e la sua espulsione proprio verso la Libia".
