Tennis in canottiera

Scritto il 07/09/2025
da Tony Damascelli

Si chiude a New York. Fa tendenza la canottiera di Alcaraz. Mi aspetto, a completamento dell'outfit, catena d'oro al collo, zoccoli o infradito, pantaloni da pescatore thailandese. Dai su, bisogna adattarsi ai tempi che corrono, finiamola con le divise classiche, storiche, bianchissime tipo Wimbledon, viva il liberi tutti, colori misti e arcobaleno, bandane, racchette spezzate, grugniti, gemiti orgasmici, il tennis non è più un valzer lento

all'ora del the. Ti colleghi e non sai bene se stiano giocando a Cincinnati o a Pinerolo, cambiano le superfici, la terra rossa è roba da circolo vintage, l'erba inglese fa chic, il sintetico è di norma, il cemento è da dopolavoro. Il tennis è disciplina unica, se cambia l'educazione degli attori resta invariato il rito regolamentare per cui «Quiet, please», silenzio di rispetto o il cambio di campo con breve pausa per una banana, una coca e l'asciugamano offerto dal raccattapalle. Immaginate di trasferire tale rito al calcio, ultimo

minuto, campionato del mondo, l'arbitro assegna il rigore, pallone sul dischetto e lo speaker dello stadio annuncia «Quiet, please». Gol e, a seguire, banana, coca e accappatoio. «L'individualismo, l'internazionalità, le antiche origini regali, dovrebbero fare del tennis un gioco alieno dalle sanguigne passioni di sport più volgari» (Gianni Clerici). Silenzio per favore.