La lunghissima stagione calcistica 2024-25 si è finalmente chiusa domenica sera con la finalissima del nuovo formato del mondiale per club, fortissimamente voluto da Gianni Infantino per provare a fare concorrenza alla Champions League. Dopo tre settimane di alti e bassi, la finale giocata al MetLife Stadium di East Rutherford ha offerto un risultato sul quale nessuno avrebbe scommesso un centesimo: la disfatta degli “ingiocabili” del Paris Saint-Germain ed il trionfo del Chelsea di Enzo Maresca, tecnico che in Italia viene spesso ignorato. Ora che il torneo è finalmente finito, possiamo fare un bilancio per considerare cosa abbia funzionato in questa competizione e cosa, invece, dovrebbe essere pesantemente rivisto prima della prossima edizione.
Top: La vittoria del pragmatismo
Ogni volta che i pronostici dei soliti soloni vengono smentiti è sempre un bene per il calcio ma quando succede in maniera così enfatica come al mondiale per club è davvero una manna. Il torneo americano si è rivelato una caporetto per gli espertoni, più volte costretti a retromarce umilianti quando il risultato del campo andava contro alle loro previsioni. Il Fluminense, squadra mediamente vecchia ma piena di gente che da del tu al pallone, ha prima fatto fuori una stanca Inter e poi la sorpresa Al Hilal, dando la prima delusione a Simone Inzaghi.
L’undici di Renato Portaluppi si è limitato a sfruttare i difetti degli avversari per esaltare le caratteristiche dei propri giocatori. Sembra banale ma, in un calcio sempre più ideologico, ha il sapore di una rivoluzione. La finalissima, poi, è stata l’apoteosi di questo calcio pragmatico, che non si vergogna di adeguare il proprio gioco a quello degli avversari. Il Chelsea di Maresca se n’è fregato del possesso, ha usato il piede educato di Sanchez per fare a pezzi la retroguardia del Psg e portarsi a casa la coppa. Qualcuno in Italia farebbe meglio a prendere nota.
Flop: Un formato cervellotico
Inutile nascondersi dietro ad un dito: il problema principale di questa manifestazione globale è stato il fatto che nessuno riusciva a spiegarsi perché alcune squadre ci fossero ed altre no. Visto che Infantino campa coi voti delle federazioni minori, la presenza dei dilettanti dell’Auckland City si spiega da sola ma le stranezze sono state tantissime. Pur di garantire la presenza di Leo Messi, gli organizzatori sono stati costretti ad un’arrampicata sugli specchi epica. Nessuno, poi, ha capito perché le brasiliane fossero quattro mentre le big europee potevano portare solo due rappresentanti.
L’idea del mondiale per club è intrigante e non solo per i premi colossali che garantisce alle squadre che vanno avanti nella competizione ma questo formato fa davvero pena. Faceva schifo, che ne so, scegliere le partecipanti tramite il coefficiente Uefa, che tiene conto delle ultime cinque stagioni? Se organizzare un torneo di qualificazione causerebbe troppi problemi in un calendario già affollatissimo, magari qualche spareggio sarebbe stato il benvenuto. Si è invece scelto di sacrificare tutto sull’altare della rappresentatività, risultando in un tabellone al limite del ridicolo.
Top: La rinascita delle brasiliane
Anche se a noi europei non piace ricordarlo, nella lunga storia del calcio il predominio dei club del Vecchio Continente è un fenomeno relativamente nuovo. Fino ad una ventina di anni fa, gli scontri della Coppa Intercontinentale vedevano le big del Sudamerica battere spesso e volentieri i campioni d’Europa, fregiandosi del titolo di campione del mondo. La notizia più positiva di questo mondiale per club è che le distanze sembrano essersi accorciate di colpo, a riprova del fatto che, nonostante l’emorragia di talenti, le grandi della Conmebol stiano tornando competitive.
Se Boca e River hanno fatto una pessima figura, confermando il momento non brillante delle due superpotenze del calcio argentino, la folta pattuglia brasiliana se l’è cavata molto meglio. Aiutate sicuramente dal fatto che la stagione del Brasilerao è iniziata da poco, le rappresentanti della Serie A se la sono cavata egregiamente. Il Fluminense ha fatto sognare fino a quando non si è schiantato sul muro dei Blues di Maresca ma è comunque un risultato superiore alle più rosee aspettative. Lo squilibrio tra le due sponde dell’Atlantico si sta riequilibrando, il che è un bene per il calcio.
Flop: Stadi vuoti e “americanate”
Sui media europei, mai davvero convinti da questa strana competizione che ha rianimato uno dei pochi periodi morti della stagione calcistica, si è ironizzato a lungo sul fatto che, in fondo, a nessuno fregasse davvero del mondiale per club. Le immagini degli stadi semivuoti hanno fatto il giro del mondo ma sono frutto delle scelte discutibili degli organizzatori. Basta dare un’occhiata ai vari gironi per rendersi conto che alcune delle squadre invitate a questa kermesse avrebbero lasciato gli spalti vuoti anche in un paese come gli Usa, dove gli emigrati sono decine di milioni.
Gli organizzatori hanno poi scelto impianti enormi, sperando di riuscire a riempirli anche in orari davvero infelici: anche in Europa giocare partite non di cartello alle 15 di un giorno feriale sarebbe un suicidio. Molti, poi, hanno storto la bocca di fronte alla spettacolarizzazione della finale, con l’introduzione di momenti musicali sia prima del calcio d’inizio che all’intervallo. Cosa dire poi dell’inno americano e del sorvolo dei jet militari (in ritardo)? Come le leggi che forzano la sospensione delle partite in caso di fulmini, certe americanate sono sembrate davvero eccessive.
Top: Un futuro roseo
Ora che la competizione è finita, il bilancio non può che essere fondamentalmente positivo. Nonostante i mille problemi organizzativi, gli orari assurdi, le novità introdotte nel torneo sono state salutate con interesse, dal fuorigioco automatico alla telecamera portata dall’arbitro fino al fatto che, dopo una revisione al Var, spiegasse in termini chiari il perché della sua decisione. Basta uscire dalla bolla mediatica europea per rendersi conto di come l’entusiasmo per questo torneo fosse ben superiore alle previsioni, non solo in Sudamerica ma anche negli altri continenti.
La favola dell’Auckland City, squadra di dilettanti che useranno i premi per costruire un impianto al coperto dove possano allenarsi i giovani del quartiere è il segnale di quanto i tanti soldi garantiti dal mondiale possano trasformare molti club. Cosa dire, poi, dell’opportunità concessa a tanti giovani di farsi notare a livello globale? Il fatto che molte delle sorprese del mondiale siano già sui taccuini dei ds delle grandi non è affatto un caso. Una volta messi a punti i tanti difetti, questa competizione potrebbe avere un futuro davvero roseo e riequilibrare in parte il mondo del calcio.
Flop: Lo snobismo delle europee
A stonare in questa manifestazione è stata sicuramente la malcelata spocchia di molte big europee nell’affrontare rivali viste come una fastidiosa pratica da sbrigare. Il fatto che tre delle quattro semifinaliste fossero europee è un chiaro segnale che la differenza tra il calcio del Vecchio Continente e quello del resto del mondo è ancora enorme. A stonare, però, è stato l’atteggiamento di molte squadre, scese in campo con la sicurezza che la vittoria fosse loro garantita di diritto. Merito alle “piccole”, ma la sensazione è che non tutti avessero preso sul serio l’impegno.
Difficile sempre fare paragoni tra situazioni diversissime ma la differenza in quanto a preparazione fisica tra le italiane e le squadre che sono arrivate cariche al punto giusto a questo appuntamento è stata evidente. Se le pessime figure di Manchester City e Real Madrid sono dovute ai tanti cambi in rosa, il percorso di tante altre grandi, Inter in testa, ha lasciato l’amaro in bocca. Al mondiale per club è andato avanti chi ha preso la competizione sul serio, rispettato ogni avversario e si è impegnato sempre al massimo. Nel calcio moderno, lo snobismo non ha davvero posto.