"Nella mia vita ho tirato migliaia e migliaia di volte, ho sbagliato tantissimo, ed è per questo che ho vinto tutto": l'uomo simbolo dello sport mondiale non è solo diventato un paio di scarpe, ma anche una frase che campeggia nella testa dei più grandi. Sicuramente Jannik Sinner deve aver letto quel che Michael Jordan raccontava dei suoi trionfi, perché il suo elogio della sconfitta è la frase più bella che ha scelto per celebrare la vittoria che vale tutto. Wimbledon, "lo sognavo da bambino, però vincerlo pensavo fosse impossibile", ma soprattutto "senza la finale persa in quel modo a Parigi, non sarei arrivato a vincere qui". Wimbledon, non solo il torneo più magico del tennis, ma - da domenica - l'esempio scuola per tutte le nuove generazioni continuamente piene di dubbi. E invece: si deve fallire per poter risorgere più forti.
Accettazione, è l'altra parola chiave del mosaico. Per Jannik è stata dura, "dopo il Roland Garros sono stato per un paio di giorni da solo con i miei se, ma poi ho capito che dovevo accettare quanto era accaduto, e che superare il momento serviva che io tornassi a lavorare più prima". Accettare la sconfitta, accettare - come nel match contro Dimitrov - "che non sempre tutto va nel senso giusto", accettare le critiche cattive ("il caso doping? Ne ho parlato anche con la Swiatek al ballo, quello che è successo ha reso i nostro successi ancora più speciali"). Accettarsi anche nelle proprie debolezze è un processo che nello sport iperattivo e miliardario di oggi sembra quasi essere sacrilego. Eppure il tennis insegna che alla fine perdono tutti tranne uno, che vincere è un sacrificio pieno di casualità.
Questo è insomma il vero trionfo, ammettere di non essere superuomini per provare a diventarlo, accettare che l'altro è stato più bravo di te, ma che senza di lui non saresti nessuno: "Carlos mi ha già reso un giocatore migliore. Però se vuoi stargli dietro devi lavorare ogni giorno e io credo di non essere ancora al massimo". Le parole di Alcaraz, i sorrisi dei suoi genitori anche dopo l'ultimo punto, la compostezza della famiglia Sinner nella festa, dimostrano che lo sport ancora esiste, anche quando sul piatto della partita ci sono milioni di sterline. E anche in questo il tennis ha vinto, soprattutto se paragoniamo Londra con quanto visto qualche ora dopo nella finale mondiale del calcio, al termine della quale perfino Luis Enrique, l'allenatore gentile della finale di Champions League finito per una sola volta ko, ha rifilato una manata a un avversario e al senso della vita.
Perdere non è mai una vergogna, mezzanotte - dice una canzone - è quando il giorno comincia. "E giorni così non valgono un trofeo - ha scritto ieri sui social coach Simone Vagnozzi a Sinner - ma un'intera vita di sacrifici, di momenti difficili, e di tanto lavoro per arrivare lì su. Ero sicuro che da quella partita saresti diventato più forte e lo hai dimostrato. Nel tennis. E fuori. Perché sei il numero 1". Jannik ora è ripartito verso casa, una settimana di riposo in famiglia e poi di nuovo al lavoro, tutto si riazzera. Questo è il trionfo, e arriveranno altre sconfitte. Per fortuna.